ALLEVAMENTO AGROECOLOGICO E SVILUPPO SOSTENIBILE DELLE COMUNITA’ LOCALI
20 Luglio 2015 | Scritto da in NotizieDomande e risposte su un tema di emergente attualità per la sopravvivenza delle comunità rurali assediate dalla globalizzazione del business delle commodities agroalimentari, in occasione della Conferenza su “Agroecologia e allevamento: il ruolo ambientale culturale e sociale dell’allevamento familiare”, svoltasi nell’ambito di FestAmbiente 2015 di Legambiente a Vicenza e organizzata da VSF Italia.
La conferenza ha prodotto contenuti di grande interesse, espressi da alcuni tra i più autorevoli protagonisti. Cosa bisogna sapere per una scelta alimentare consapevole. L’importanza dei piccoli produttori per un’agricoltura sostenibile e la sovranità alimentare. Cos’è l’allevamento agroecologico. Proiettato un estratto del documentario “Capindo la late – transumanza di uomini e bestie attraverso il tempo sull’Altopiano dei 7 Comuni” di cui autori sono A. Colbacchini e G. Cremasco. Sono intervenuti Chiara Cannizzo di Veterinari Senza Frontiere Italia; Andrea Colbacchini, borsista e collaboratore della Prof. E. Novello presso il Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova; Gianni Rigoni Stern promotore della Transumanza della Pace; Pietro Luciano Venezia, Vicepresidente di Veterinari Senza Frontiere Italia e di VSF International, veterinario omeopata e cooperante. E’ seguita la presentazione del libro “Con-Vivere, l’allevamento del futuro” edito dal Gruppo Macro Edizioni.
Ha moderato: Efrem Tassinato, giornalista, ambientalista, fondatore del Circuito Wigwam.
– Chiara Cannizzo, chi è “Veterinari Senza Frontiere” e perché ha interesse ad organizzare un evento di questo tipo?
Veterinari Senza Frontiere Italia è una ONLUS che nasce oltre 20 anni fa, inizialmente più con i connotati di una società scientifica, poi nel tempo si trasforma acquisendo una identità di associazione che fa cooperazione internazionale in ambito rurale. Oggi fa parte di una rete internazionale, VSF-International, che racchiude al suo interno anche ONG più grandi e strutturate, si tratta di 10 VSF europei più il Canada (da circa un anno).
Perché esistiamo, è facile dirlo, basta partire dal quadro mondiale che vede ancora quasi un miliardo di persone che soffrono di malnutrizione nel mondo e oltre 8 milioni di persone che muoiono di fame ogni anno; se consideriamo che i due terzi di questi vivono in zone rurali e dipendono dall’allevamento, ecco che è facile collocare Veterinari Senza Frontiere. Il nostro obiettivo è di sostenere le comunità rurali più vulnerabili e facilitare la crescita sanitaria/zootecnica sostenibile al sud del mondo. Inoltre abbiamo l’obiettivo di sostenere questi modelli di produzione sostenibile anche al Nord del mondo.
Le azioni di VSF si basano su 5 pilastri che vi elenco senza entrare nel dettaglio perché saranno approfonditi nel corso del dibattito:
- la sovranità alimentare
- il principio di “one health” o salute globale
- l’allevamento familiare
- lo sviluppo sostenibile
- il benessere animale
Lo strumento principale per perseguire questi obiettivi è l’agroecologia.
Il nostro motto: “Healthy animals, healthy people”, ossia animali sani, gente sana e, aggiungiamo, ambiente sano!
– Andrea Colbacchini, qui abbiamo visto solo un breve estratto del documentario “Capindo la late – transumanza di uomini e bestie nel tempo sull’Altopiano di Asiago – 7 comuni” , come nasce e di cosa parla?
Il documentario è il racconto di un territorio, della vita d’alpeggio che unisce uomini e animali e diventa lavoro attraverso l’esperienza del malgaro. Realizzato in oltre un anno di ricerca, 30 video interviste e riprese sul campo, ”Capindo la late” è un grande affresco sul presente della vita in alpeggio nell’Altopiano di Asiago e, nello stesso tempo, occasione di riflessione sul valore dell’agricoltura di montagna: strumento di conservazione e presidio del territorio ma anche opportunità per alcuni giovani affascinati dal lavoro all’aria aperta e dal contatto con la natura.
Il documentario è nato dal desiderio di cercar di restituire alla montagna ciò che essa dà a chi, come noi che l’abbiamo realizzato, vi sale solo nel fine settimana. Cogliamo sempre ogni occasione per presentare “Capindo la late” proprio per questo motivo: cercando di incuriosire il pubblico nella speranza che qualcuno in più salga verso le terre alte e contribuendo, anche se solo in minima parte, a mantenerle vive e vitali.
La salvaguardia del territorio montano prende necessariamente le mosse dalla presenza antropica e la malga rappresenta un sistema integrato indispensabile a tale scopo. È affascinante poter notare come questo sistema, seppur in continua evoluzione e adattamento, racchiuda in sé lo spirito di antichi usi e culture ancora vitali e vibranti perché, prima ancora d’essere parte di quella tradizione spesso guidata dalla governante amministrativa, sono parte del passato di chi ancora oggi vive la malga e per la malga.
– Gianni Rigoni Stern, nel video che abbiamo visto lei sottolinea come “siano le bestie a fare il pascolo”: approfondiamo il ruolo ambientale degli allevamenti nell’Altopiano di Asiago – 7 Comuni, si può dire che se sparissero le malghe si andrebbe incontro ad un vero “disastro ambientale”? qual è il meccanismo attraverso cui l’allevamento contribuisce a mantenere il territorio, la fertilità dei suoli?
Il pascolamento presuppone la presenza umana in loco e questo già di per se costituisce un elemento di custodia del territorio. In specie se tale presenza è legata e funzionale alle attività di allevamento. Bestiame in montagna significa apporto di sostanza organica rappresentata dalle deiezioni di vacche, ovini ed equidi. Significa cura dei prati pascoli quanto a contenimento da infestanti tossiche come la felce aquilina ed anche il miglioramento con la semina di leguminose come l’erba medica che arricchiscono la dieta degli animali per l’apporto proteico.
Fino ad una quarantina d’anni fa la montagna spopolata portava a politiche di rimboschimento di aree anche di antichissima pratica pascoliva. Oggi il carico di legname utilizzabile supera abbondantemente il 20% delle possibilità di prelievo senza intaccare il capitale forestale. E ciò sarebbe davvero auspicabile, in specie per usi durevoli per via della possibilità di accumulo di CO2. Perciò le politiche per la montagna, anche raccomandate nella programmazione 2014-2020 vanno nel senso della protezione delle per fortuna ancora ampie aree a prato-pascolo di cui sono ricche le nostre montagne. Ma ciò è impensabile senza la presenza umana e questa può esserci nella misura in cui la pratica dell’allevamento è aiutata quanto a infrastrutture e redditività per l’imprenditore che vi si dedica.
Il pascolamento è anche quello che viene, forse un po’ sminuente “diserbo naturale”. Ovvero il bestiame pascolante, insieme agli sfalci per mettere fieno in cascina per l’inverno, garantiscono il miglior baluardo all’espansione del bosco. Insomma, ma ve lo immaginate l’Altopiano dei 7 Comuni senza prati, senza vacche al pascolo, senza caseifici e formaggi locali e la cucina da essi derivata?
– Lei ha potuto vedere delle realtà di piccolo allevamento fuori dall’Italia ed ha contribuito a svilupparle, ad esempio con la sua famosa “Transumanza della pace”, ha sempre detto di trovare molte similitudini con la realtà che ben conosce nell’Altopiano di Asiago – 7 Comuni, in che senso?
Sull’Altopiano di Sućeska nei pressi di Srebrenica in Bosnia Erzegovina, vivono oggi i sopravvissuti di una comunità di agricoltori prevalentemente musulmani che sono stati decimati dalla guerra (in quell’area la pulizia etnica ha eliminato circa l’85% della popolazione maschile). Dal 2000 le persone sono via via ritornate a vivere in quella zona, spesso i capifamiglia sono donne vedove, anziani o ragazzi molto giovani che praticano un’agricoltura di autoconsumo e sognano di andare a vivere altrove.
La guerra, con la distruzione totale di tutte le case e le stalle pre-esistenti, oltre alla morte e alla scomparsa di gran parte della popolazione, ha causato l’abbandono di vaste superfici coltivate causando il degrado di prati e pascoli. La cosa che più salta all’occhio quando si sale in Altopiano a Sućeska è un tipo di felce infestante e tenace, che si è mangiata la terra da coltivare e quella sulla quale un tempo pascolavano gli animali.
Chi è tornato spesso alloggia in case non ancora finite, dispone di piccole stalle con gravi carenze igienico-sanitarie. Pochi sono gli animali, e scarsissime le attrezzature per i lavori di campagna.
Ma abbiamo trovato tanta buona volontà, persone generose che nella difficoltà e nella dignitosa miseria hanno voglia di ricominciare.
Dopo uno studio approfondito della realtà locale, molti pranzi e caffè presso le famiglie hanno preso avvio le mie lezioni, per poter trasmettere alla popolazione l’esperienza e le tecniche base del coltivare e dell’allevare, tre incontri di due ore ciascuno con cadenza mensile. C’è stata molta partecipazione: 50 iscritti, uomini e donne che accorrevano dalle contrade più disperse, donne che facevano anche un’ora di strada a piedi per raggiungere il Centro giovanile di Sućeska, unico luogo di incontro collettivo della zona oltre alla moschea.
La condizione che ho posto è stata che “solo chi avrebbe frequentato il corso per intero avrebbe avuto diritto a ricevere in dono una vacca.”
E così è andata. ho messo a disposizione tutta la mia competenza e tenacia da montanaro, acquisita in trent’anni di lavoro come funzionario della Comunità Montana. Ha capito anche che per fare un passo ulteriore nell’iniziativa di solidarietà occorreva trovare un’Istituzione italiana disposta ad investirci, e mi sono rivolto alla Provincia Autonoma di Trento e in particolare al suo Presidente, Lorenzo Dellai. La risposta è stata benevolmente accolta, tanto più che la scelta del tipo di animale identificato come maggiormente adattabile ed idoneo per la zona di Sućeska era già ricaduta sulle bestie di razza Rendena, un’antica specie autoctona trentina, un animale rustico molto adattabile, razza a duplice attitudine latte e carne.
E’ iniziata per mesi una trafila di pacchi e pacchi di carte, permessi, timbri, controlli, autorizzazioni, rinvii, regole che si modificavano di giorno in giorno. Finalmente, ottenuti tutti i documenti necessari, ogni animale ha avuto il passaporto in regola per partire.
Il 1° dicembre 2010 nevicava. Siamo andati in Val Rendena, a Caderzone (TN), a ritirare gli animali dagli allevatori trentini: 48 manze e manzette di età compresa tra i 12 e i 24 mesi, alcune già gravide, le altre da ingravidare, per iniziare con le bestie il viaggio verso la Bosnia Erzegovina. Alcuni allevatori, soprattutto quelli con le stalle più piccole, avevano quasi le lacrime agli occhi. Io gli ho fatto vedere sulla carta geografica dov’è Sućeska, gli ho spiegato che gli animali sarebbero andati a persone che li avrebbero trattati bene. Qualche manza non aveva proprio voglia di salire sul camion, come la Sissi, recalcitrante a lasciare la sua antica stalla e la sua padrona. È scappata in mezzo alla neve e ci hanno messo un po’ a riacchiapparla, prima di spingerla sul camion.
Dopo una sosta degli animali presso la stalla della Federazione Provinciale Allevatori a Trento, le 48 manze e manzette sono state fatte risalire su un tir a due piani diretto al confine croato–bosniaco. La frontiera tra Croazia e Bosnia Erzegovina è stata fatta a Županja, sette ore di attesa, poi ci siamo diretti a Odžak, nella stalla di confine prescelta affinché gli animali potessero essere sottoposti ad un periodo di quarantena. La notte in cui le bestie sono arrivate, dopo 24 ore di viaggio, non muggivano neanche più, avevano solo fame. La Bosnia era alluvionata e c’era molta nebbia, ma sono scese saltellanti dal tir annusando l’aria umida e fredda. Avranno pensato che ora gli toccava davvero imparare una nuova lingua, piena di consonanti.
– Pietro Luciano Venezia, VSF fonda i suoi progetti sul principio della sovranità alimentare, può dirci in parole semplice in cosa consiste?
Può essere definita così: “il diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra che siano appropriate sul piano ecologico, sociale, economico e culturale alla loro realtà unica. Esso comprende il vero diritto al cibo e a produrre cibo, il che significa che tutti hanno il diritto a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato, alle risorse per produrlo e alla capacità di mantenere se stessi e le loro società”.
Da anni VSF ha abbracciato il principio della Sovranità Alimentare ed agisce per la sua affermazione. Abbiamo a cuore i piccoli produttori e le produzioni sostenibili. Operiamo nei nostri progetti per valorizzare il lavoro dei piccoli allevatori in quanto non solo produttori di cibo ma soggetti portatori di diritti, e allo stesso tempo anche “produttori di cultura” e “guardiani dell’ambiente”.
– In tutto questo, come si inquadra l’allevamento? cos’è l’agroecologia? perché VSF sostiene l’allevamento agroecologico come strumento per un allevamento sostenibile sotto tutti i punti di vista, capace di preservare l’ambiente, la biodiversità, le risorse ed il benessere di uomini e animali?
Gli animali sono dei distributori automatici di latte, o sono anche capaci di legami profondi? Si comportano tutti allo stesso modo o hanno regole da rispettare e codici comunicativi da conoscere? Agricoltura e allevamento hanno subito, negli ultimi decenni, drastici interventi secondo il modello produttivo industriale, sottoponendo l’ambiente a mutamenti che in alcuni casi causano danni irreversibili, costringendo gli animali a vivere in condizioni artificiali e dolorose. Le monocolture e gli allevamenti intensivi sono concepiti per produrre tanto e subito, ma i costi a livello ambientale, economico, di salute pubblica, di tossicità li paga tutta la comunità umana. Pensare in modo sistemico, cioè globale, vuol dire che nessuno, uomo-animale-pianta, prevale per importanza su un’altra forma vivente, e che il sistema raggiunge un suo equilibrio naturale specifico di quel posto e di quel clima, nella ricerca di un’armonia che porti a un con-vivere gratificante e felice per tutte le forme viventi. Nel libro “Con-Vivere – L’Allevamento del Futuro. Comprendere la sensibilità degli animali per allevarli nel rispetto dell’ambiente e delle loro esigenze“, da poco pubblicato da Arianna editrice, gli autori Carla De Benedictis, Francesca Pisseri, con me Pietro Luciano Venezia, offrono una chiave di lettura ecologica e sistemica dell’attività zootecnica, portando il lettore alla riscoperta di un’armonia possibile tra uomo, animali e ambiente.
– A Gianni Rigoni Stern e a Pietro Venezia: quale messaggio lasciate ad un consumatore che vuole scegliere un prodotto che rispetti l’ambiente e anche gli animali?
Pur partendo dai loro diversi trascorsi ed esperienze sul campo, la risposta è univoca: il consumatore ha in mano la chiave per condizionare le produzioni al rispetto della sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale.
Tutto passa dalla cultura del prodotto e della sua origine. Bisogna lavorare sui giovani perché crescano consapevoli che i loro consumi possono aiutare il mondo ad evolvere senza disastri irrimediabili, mantenendo la biodiversità ed aiutando le comunità agricole e pastorali locali intanto a non sparire e poi a continuare ad assicurare la ricchezza che solo loro possono apportare al cibo, all’ambiente, al vivere con dignità di persone.
Perché ciò accada ogni scelta di acquisto e non solo alimentare, deve essere preceduta dalla domanda: quanto della quota che vado a corrispondere arriverà al produttore e alle fasi immediatamente connesse della trasformazione, condizionamento, confezione, logistica e quanto finisce invece nella speculazione finanziaria a beneficio di chi non si sa?
Certo non è semplice, ma da ciò dipende il futuro di ognuno di noi, intesi come soggetti con una propria peculiare individualità e non semplicemente come moltitudine di anonimi metaboliti unicamente funzionali al miglioramento delle rendite di giocatori di borsa.
(un articolo di Efrem Tassinato, con il contributo di tutti i relatori coinvolti)
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